domenica 15 maggio 2016

Conclusione

Guglielmo ed Adso, Il nome della rosa (film)
Ecco dunque arrivata la fine del mio blog. Il percorso che ho cercato di creare analizzando queste cinque tematiche de "Il nome della rosa", mi ha portata a riflettere su moltissimi altri elementi di cui vorrei parlare. Questo libro che all'inizio mi aveva lasciato un po' di confusione e stranezza, ora mi sembra un po' più chiaro, nonostante sia ad oggi il romanzo più impegnativo che io abbia mai letto. Il viaggio, iniziato con il tema centrale del romanzo, poi il labirinto e l'analisi di Dio, del libro in età medievale e conclusosi con le descrizioni architettoniche, aveva lo scopo di portare Voi lettori in questo mondo e farVi riflettere su alcuni argomenti, guardando però anche il nostro mondo attuale e creando dei collegamenti.
Quest'esperienza è stata per me innanzitutto molto particolare, è la prima volta, infatti, che uso Internet per questo tipo di riflessioni, ed anche istruttiva, poiché mi ha permesso di ragionare e approfondire alcune parti di questa storia.
Spero di essere riuscita ad incuriosirVi e spingerVi a leggere il libro oppure, se già lo conoscete, a plasmarVi una vostra opinione che potrebbe anche portare ad una discussione su questo sito. 

I numeri e la geometria dell'abbazia

Sacra di San Michele, Torino
Nel romanzo ogni ambiente viene descritto seguendo dei chiari riferimenti a Dio ed ho trovato questo elemento geniale, forse è ciò che più mi ha incuriosita. Per esempio l'abbazia viene descritta di forma “ottagonale che a distanza appariva come un tetragono”. Questa figura simboleggia, infatti, “la saldezza e l'imprendibilità della Città di Dio”. Gli ambienti principali de “Il nome della rosa” sono la labirintica biblioteca e l'Edificio stesso; ciononostante lo scrittore dedica molto spazio nell'esaminare il portale o lo scriptorium. Molte descrizioni hanno ideale allegorico ed un rimando a valori o numeri religiosi. Umberto Eco, nella raffigurazione dell'intero edificio, dà molto risalto a cifre sacre, quali il sette, ovvero la cosiddetta firma di Dio, il numero delle virtù e dei peccati capitali, i sacramenti o i dolori di Maria, il tre, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e l'otto, ovvero il simbolo della nuova vita (l'otto è considerato il giorno della Resurrezione e da qui arriva anche la struttura dei Battisteri) e numero perfettissimo poiché deriva dal tetramorfo. La biblioteca di Babele, invece, ha una struttura simmetrica, geometrica: essa è composta da cinquantasei locali e ognuno di questi ha inciso un versetto dell'Apocalisse, in cui è evidenziata una lettera. Queste, se lette in sequenza, formano nomi (come Roma, Aegyptius o Yspania) che vengono usati dal bibliotecario per la sistemazione dei libri e per orientarsi nel dedalo-biblioteca. La disposizione delle stanze, inoltre, simboleggia la vera ubicazione di questi paesi sulle carte. L'autore mostra una straordinaria abilità nel descrivere ogni più piccola cosa, sfoggiando così una vastissima cultura, frutto anche dei suoi studi sull'estetica medievale. Un passo che mi ha colpita molto è stato quello della descrizione del portale (primo giorno sesta), in cui Adso, quasi pietrificato, ammira questo ingresso. Si nota da questo brano come lo scrittore si sia ispirato alla Sacra di San Michele, nel torinese, per creare la sua abbazia: immersa nei colli piemontesi su un'altura scoscesa, questa Chiesa è raggiungibile solo attraverso una mulattiera, risponde perfettamente e rispecchia il mistero che avvolge la cupa abbazia della narrazione.

mercoledì 11 maggio 2016

Il libro: uno strumento nato per la conoscenza dell'uomo

Amanuense al lavoro
Fino all'avvento della stampa, il rapporto col libro era molto diverso da quello che abbiamo noi oggi. Ormai i testi sono ovunque e sono oggetto di studio, di passatempo e piacere, ma una volta possedere dei volumi, poterli leggere, era un privilegio per pochi, solitamente per i più ricchi e per coloro che avevano studiato nelle Università (da poco fondate) o nelle scuole gestite dagli ecclesiastici. Se da un lato i tomi erano un oggetto raro, dall'altro la conoscenza da questi portata era fonte di potere. Queste opere, all'epoca, svolgevano sia un ruolo di conservazione sia di contestazione. Conservazione perché con le raccolte veniva preservato il sapere, e contestazione perché alle volte questi andavano contro il pensiero e il volere della Chiesa. Non è strano pertanto che accanto alla promozione della cultura (nei monasteri, infatti, si copiavano i libri) ci fosse da parte dei religiosi un’attenzione alla diffusione di idee e scritti che potessero risultare dannosi per la fede del popolo di Dio, spesso ignorante e privo di senso critico. Dovevano, perciò, essere accorti, al fine di evitare un’errata propagazione, che avrebbe portato alla formazione di nuove eresie. Nel romanzo pare quindi che il custode della biblioteca, avesse in mano il potere dell’abbazia e non solo, anche quello della conoscenza. Sostenendo ciò si potrebbe allora giustificare tutte le morti avvenute nel monastero. Nonostante ai giorni nostri le scritture siano ancora un simbolo di conoscenza, con l’ingresso delle nuove tecnologie hanno perso in parte la loro sacralità, poiché le fonti che ci permettono di raggiungere la conoscenza sono svariate. Si sta vivendo, dunque, una sorta di involuzione, che ci sta portando a dimenticare il piacere della cultura, invalidando il lavoro svolto dagli amanuensi nel Medioevo.

martedì 10 maggio 2016

Il Dio distaccato del romanzo

La Creazione di Adamo (particolare Dio) , Michelangelo
Un elemento che credevo sarebbe stato presentato in modo diverso è quello di Dio. Ne “Il nome della rosa”, il Creatore è spesso invocato, ma è distante. In una storia che parla di monaci, frati e Chiesa mi sarei aspettata un grande spazio dedicato a Lui, anche se alla fine ho capito che forse Umberto Eco ha deciso di usare questo espediente per meglio rappresentare la Chiesa del tempo: un piazza in cui vendere cariche ed indulgenze, scena di scontri politici e prese di potere, di vocazioni religiose fondate sull’interesse economico e preghiere recitate al vento.
Nel romanzo l'Altissimo c’è, ma non abita tra gli uomini; è un Essere superiore e lontano, un signore disegnato quasi come i feudatari dell’epoca e non sembra il Padre a cui il Santo di Assisi rivolgeva con semplicità le sue preghiere.
Dalle parole dei frati, l'Onnipotente sembra essere un qualcuno che detta legge, pronto a punire ogni volta che un fedele abbandona la giusta strada.
Mi ha stupito come, al posto di misericordia e salvezza, si possano trovare, invece, pagine e pagine sul peccato e l’Anticristo, che porta paura e cancella la speranza, la felicità, tant’è che il vecchio Alinardo è convinto che gli omicidi dell’abbazia siano solo un prologo all’avvento di quest’ultimo.
Sembra così che per proteggere la Fede, l’unico modo sia seguire il rigore e la severità di Dio, mentre la gioia è dipinta come sinonimo di male.
Nel passo in cui Adso si confida con Guglielmo (terzo giorno dopo compieta) in seguito all’incontro con una ragazza nelle cucine dell’abbazia, si può leggere un superficiale incoraggiamento ad andare avanti, sminuendo la gravità del peccato. Il monaco, infatti, sembra minimizzare l’atto della confessione, che dovrebbe in realtà essere il momento in cui si può toccare con mano la misericordia di Dio. Tra le righe, perviene quasi l’idea che certe azioni vadano fatte e che spesso è possibile cadere in tentazione a causa di un elemento esterno, come nel caso di Adso che è spinto al peccato da una donna.

lunedì 2 maggio 2016

Il labirinto come simbolo dell'uomo

Labirinto della biblioteca dell'abbazia
Il simbolismo è il tema portante di tutto il romanzo: ogni cosa, ogni persona rappresenta un'idea. L'esempio che ritengo migliore per spiegare ciò è quello del labirinto, che può avere diverse interpretazioni. Il labirinto della biblioteca è il luogo esoterico intorno a cui ruota la vicenda, poiché qui è nascosto il secondo libro, mai trovato, della Poetica di Aristotele.
La labirintica collezione di libri non dovrebbe essere intesa solo come luogo fisico, ma anche come proiezione ideale di una riflessione filosofica.
Analizzando in chiave metaforica il testo, il dedalo potrebbe simboleggiare la continua ricerca della Verità nella possibilità di smarrirsi più volte. Inoltre questo è intricato come il complotto creato da Jorge, ma simboleggia anche la complessità della realtà e l'assurdità della vita, che portano ad un pessimismo implicito.
Se l'uomo è un essere per sua natura debole, il groviglio rappresenta allora l'emblema della nostra vita. Già nei primi testi mitologici, l'uomo fu succube di questa struttura: Dedalo ed Icaro, ad esempio, furono imprigionati nel labirinto del Minotauro, poiché avevano aiutato Teseo ed Arianna. Per uscire, Dedalo progettò delle ali di cera, ma il figlio Icaro, con giovane incoscienza, si avvicinò troppo al Sole che sciolse così le sue ali e lo condannò a morte facendolo precipitare.
Ne "Il nome della rosa", l'uscita dal labirinto sembra introvabile, però non lo è: guardandolo dall'esterno si può comprendere la struttura e trovare quindi la porta giusta. Noi però non possiamo osservare la nostra esistenza dal di fuori, poiché viviamo solo in quanto dentro a questo gomitolo; ma se l'unico modo per trovare la soluzione è osservare la vita dall'esterno, allora siamo destinati a non trovare mai la via di fuga? Ogni labirinto ha il suo filo d'Arianna, che può guidare l'uomo verso la salvezza; nel contesto del romanzo e del nostro cammino si dovrebbe attribuire questa funzione a un Dio.

sabato 30 aprile 2016

Il riso: un "peccato" per la Chiesa medievale

Busto di Aristotele
Gli omicidi compiuti da Jorge da Burgos hanno il fine di tenere segreto il secondo libro della Poetica di Aristotele, in cui viene apprezzato e giustificato il riso. Nella compieta del primo giorno e nella notte del settimo, Guglielmo e Jorge si trovano a discutere su questo tema teologico. Il primo sostiene che l'uomo debba riconoscere la propria debolezza e usare il sorriso come strumento per contrastare qualsiasi pretesa totalitaria, poiché questo fa parte della natura umana ed è simbolo di emancipazione. Il secondo, invece, afferma che Cristo non abbia mai riso e crede che la risata sia sinonimo di eccesso e di licenziosità, che possa distrarre gli esseri umani da Dio e portarli a dubitare, e forse ridere, della divinità. Il bibliotecario teme che se il libro di Aristotele entrasse in circolazione, la Verità andrebbe perduta, poiché scomparirebbe il timore di Dio e dell'Inferno. Jorge segue, dunque, la credenza della Chiesa dell'epoca, che si riteneva detentrice della Verità assoluta e si fondava essenzialmente su un rigido ordinamento sociale, sull'ignoranza e sul soggiogamento del popolo. A questa concezione Guglielmo contrappone l’amore per il sapere, l’apertura al dialogo e al confronto critico con gli altri. Il ghigno è per lui il simbolico alleato del distacco dal dogmatismo. Il dialogo tra i due è, quindi, metafora dello scontro tra il Medioevo e un prototipo di pensiero rinascimentale, moderno.
Inoltre il fatto che Jorge sia cieco mi fa pensare ad una attribuzione caratteriale anziché fisica: egli infatti segue le dottrine ecclesiastiche senza opporsi e, anzi, le propaga in giro con vana autorità.
Credo che con questo romanzo, Umberto Eco abbia sì creato un romanzo storico, ma anche una sorta di denuncia contro alcuni crimini del XX secolo: l'esempio che mi sovviene è quello del Fascismo. Come la Chiesa di allora reprimeva ogni dissenso e sterminava i propri nemici (come gli eretici), così anche il Fascismo cominciò ad adottare questa politica indicativamente con l'inizio della Seconda Guerra Mondiale.

giovedì 21 aprile 2016

Introduzione

Salve a tutti. Mi chiamo Alessia Derivi.
Copertina de "Il nome della rosa"
Ho recentemente letto il romanzo "Il nome della rosa" di Umberto Eco e sono rimasta molto colpita dall'abilità dello scrittore nel ricreare un mondo medievale, facendo sì che i lettori possano con facilità immedesimarsi.
Devo ammettere che questa lettura per me è stata all'inizio noiosa e molto difficile, ma, superate le prime cento pagine, la storia si è trasformata, diventando avvincente. Il fatto di aver unito un giallo, che solitamente ci fa pensare a Sherlock Holmes o ad altri detective, ai costumi, le tradizioni, le credenze di un'epoca così lontana mi ha sicuramente aiutata, perché sono così rimasta maggiormente coinvolta ed inoltre ho cambiato il mio punto di vista su questo periodo storico, che fino ad allora era per me solo un argomento di studio.
Ho aperto questo blog, quindi, con l'intenzione di riflettere su alcuni elementi o passi che mi sono maggiormente piaciuti, cercando di creare, ove possibile, un parallelo con la nostra società. Ho scelto come titolo una citazione del best-seller che in italiano viene tradotta con "la favola parla di te", scritta originariamente dall'autore latino Orazio, poiché ritengo che ognuno di noi possa immedesimarsi in un personaggio, provare i suoi stessi sentimenti ed avere gli stessi vizi o desideri. Perciò trovo questo componimento oggigiorno ancora attuale, grazie anche al fatto che le figure non siano state plasmate come irraggiungibili e perfette, ma in fondo rappresentano un po' tutti noi!
Comincerò, dunque, questa mia considerazione analizzando cinque temi che ho preferito.
Spero di riuscire in questa mia impresa e Vi auguro buona lettura!